Trascinati dal buco nero
Osservato per la prima volta, grazie ai satelliti XMM-Newton dell’ESA e NuSTAR della NASA, l’effetto Lense-Thirring in un campo gravitazionale intenso. Andrea Comastri (INAF): «Una misura con implicazioni importanti, sia per lo studio dell’accrescimento di materia da parte dei buchi neri, sia come test di relatività generale».
Magari non lo chiameremo trottolino amoroso (anche perché un nome già ce l’ha: H1743-322), ma certo è che il protagonista di questa storia trottola parecchio. O meglio, a trottolare è la parte più interna del disco d’accrescimento che lo circonda, la materia nei pressi del buco nero. Grazie ai telescopi spaziali per raggi X XMM-Newton dell’ESA e NuSTAR della NASA, gli scienziati sono ora riusciti per la prima volta a misurare in dettaglio il suo andamento oscillatorio, e a confermare che si tratta d’un effetto gravitazionale previsto dalla Relatività generale di Einstein.
Tutto ha inizio negli Ottanta, l’epoca dei primi telescopi per raggi X, quando un team d’astronomi nota che il segnale ad alta energia proveniente da alcune sorgenti massicce – come buchi neri e stelle di neutroni – mostra uno strano tremolio: la sua intensità varia leggermente nel tempo, dapprima seguendo un periodo di una decina di secondi, per poi aumentare di frequenza nei giorni, nelle settimane e nei mesi successivi, fino ad arrivare a oscillare decine di volte al secondo. Poi, all’improvviso, il tremolio scompare. In attesa di capire quale ne sia la causa del fenomeno, gli astrofisici gli affibbiano un’etichetta: QPO, dalle iniziali di quasi periodic oscillation: oscillazioni quasi periodiche.
Le prime ipotesi cominciano a prendere corpo nel decennio successivo, con le osservazioni di satelliti come RXTE, il Rossi X-ray Timing Explorer della NASA (così chiamato in onore del grande fisico Bruno Rossi, costretto dalle leggi razziali a lasciare l’Italia per gli Stati Uniti). Il sospetto degli astrofisici è che le QPO possano essere dovute a uno tra gli effetti previsti dalla Relatività generale, secondo la quale un corpo in rotazione dovrebbe produrre una sorta di vortice gravitazionale. Si tratta della precessione di Lense-Thirring, o effetto di trascinamento.
«È un po’ come quando ruotiamo un cucchiaio nel miele. Immaginate che il miele sia lo spazio e che qualunque cosa che vi si trovi immersa venga come trascinata dal cucchiaio che gira», è l’analogia alla quale fa ricorso Adam Ingram dell’università di Amsterdam, primo autore dello studio sui risultati dell’osservazione di H1743-322, da poco pubblicati su MNRAS, per spiegare l’effetto Lense-Thirring. Nel caso di un’orbita inclinata, ne deriverà una precessione relativistica: la distorsione dello spazio-tempo fa sì che l’intera orbita cambi orientamento girando attorno all’oggetto centrale. Il tempo impiegato dall’orbita per ritornare alla condizione di partenza è detto ciclo di precessione.
Da allora l’effetto Lense-Thirring è stato osservato e misurato più volte. È per esempio del 2004 il calcolo della durata (33 milioni di anni) del ciclo di precessione del Gravity Probe B della NASA. Una misura difficile da effettuare, questa relativa all’effetto di trascinamento indotto dal nostro pianeta, e realizzata fra gli altri anche due astrofisici dell’INAF, David Lucchesi e Roberto Peron, nel 2010.
Mai prima d’ora, però, la precessione di Lense-Thirring era stata misurata in un campo gravitazionale intenso come quello d’un buco nero. I due telescopi spaziali ci sono riusciti osservando – per 260mila secondi XMM-Newton e per 70mila secondi NuSTAR – le variazioni dovute all’effetto Doppler della riga d’emissione del ferro nella radiazione X proveniente dal disco d’accrescimento (vedi immagine).
«L’effetto misurato nella binaria oggetto dell’articolo – che ha implicazioni importanti sia per lo studio dell’accrescimento di materia da parte di buchi neri che come test di relatività generale – è stato ottenuto combinando i dati da due telescopi nei raggi X. XMM-Newton dell’ESA è caratterizzato da un’ampia superficie di raccolta, specialmente alle frequenze dove viene emessa la riga del ferro, mentre il satellite della NASA NuSTAR si distingue per la capacità di rivelare fotoni di alta energia fino a diverse decine di keV», spiega a Media INAF Andrea Comastri, direttore dell’Osservatorio astronomico di Bologna dell’INAF, al quale abbiamo chiesto un commento sulle capacità dei due satelliti. «Combinando le caratteristiche dei due strumenti con un tempo di esposizione adeguato, è stato possibile raccogliere un flusso di radiazione in raggi X alle energie caratteristiche della riga del ferro e contemporaneamente misurare il continuo nelle frequenze adiacenti e rivelare l’effetto di relatività generale descritto nell’articolo. Il satellite giapponese Hitomi avrebbe permesso uno studio ancora più approfondito del profilo della riga del ferro. Ma con il lancio di Athena, fra poco più di dieci anni, lo studio della fisica dei buchi neri e i test di relatività generale diventeranno di routine».
[ Redazione Media Inaf ]
https://mnras.oxfordjournals.org/content/461/2/1967
Nell’immagine rappresentazione artistica dell’effetto Lense-Thirring nella regione attorno un buco nero. Il disco interno, in precessione, emette radiazione ad alta energia che colpisce la materia nel disco di accrescimento circostante. Questo fa sì che gli atomi di ferro di quest’ultimo emettano raggi X, qui rappresentati dal bagliore presente prima sul lato destro (a), poi su quello frontale (b) e infine su quello sinistro (c) del disco di accrescimento.
Crediti: ESA/ATG Medialab
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