La varianza di scala: il Fantastic Voyage della scienza
La nostra riflessione sul nostro posto nell’universo, tra pellicole e galassie, comincia con il… decimillimetro di pollice.
Chi volesse sentire utilizzare questa improbabile (o meglio “allucinante”) unità di misura, può rivolgersi con fiducia alla celeberrima pellicola di Richard Fleischer, “Viaggio Allucinante” (Fantastic Voyage ) che racconta la storia di un manipolo di scienziati miniaturizzati all’interno di un batiscafo che naviga tra i mille pericoli immaginabili all’interno del corpo umano, nel drammatico tentativo di salvare la vita di un paziente.
Il film, capace di potenti suggestioni in uno spettatore giovanissimo (2 oscar alle scenografie e agli effetti speciali hanno un significato), denota più inconsistenza scientifica di quanto possa dire il sullodato “decimillimetro di pollice”.
Dalla sceneggiatura del film Asimov trasse un romanzo, discostandosene solo nel tentativo di attenuare alcune madornali incongruenze scientifiche (da: wikipedia). Era il 1966.
Possiamo immaginarci quale sia stato uno degli scogli individuati dall’abile scrittore russoamericano. È infatti noto a chiunque abbia avuto a che fare con la fisica, e a chiunque abbia spirito d’osservazione, che l’universo, con le sue leggi fisiche, non è uguale a diverse scale.
Una goccia d’acqua cade diversamente da una secchiata, un castello di sabbia non potrebbe mantenere i suoi arditi pinnacoli se fosse alto 10 metri, e lo schermo che state guardando crollerebbe sotto il proprio peso se fosse identico ma 100 volte più grande. Altr ettanto, niente di ciò che facciamo avrebbe senso o accadrebbe, se noi fossimo ridotti di dimensioni in ragione di 100.000 volte come viene immaginato in quel film. Quanto meno, per fare un esempio, dovremmo respirare aria composta di atomi 100.000 volte più piccoli: nessun globulo rosso del nostro sangue potrebbe mai ossigenare i nostri tessuti con atomi smisurati.
Immaginiamoci poi cosa accadrebbe se fossimo 100.000 volte più grandi. La pellicola d’umore che ricopre i nostri occhi dovrebbe essere spessa, anzichè 1/10 di millimetro, 10 metri, e ciò equivarrebbe ad una cascata: piangeremmo di stupore per l’impossibilità della situazione.
La separazione tra le dimensioni, intese in senso letterale, è reale. In fisica si chiama varianza di scala. Esistono al contrario molti invarianti: per esempio gli esperimenti non cambiano se li facciamo in due luoghi diversi dell’universo, o se orientiamo il nostro apparato sperimentale in una direzione qualsiasi. Ma se invece l’esperimento è diverso in scala, per esempio 1:10 o 10:1, bè, non è più la stessa cosa: non esiste dunque l’invarianza di scala.
Il che implica che la fisica delle galassie è intrinsecamente diversa da quella umana, e questa, a sua volta differisce sostanzialmente da quella microscopica o da quella subatomica.
Poichè ognuno di noi ha un interesse particolare per certi fenomeni (c’è chi si appassiona alla fisica subnucleare, chi alla cosmologia, chi, ancora alla microbiologia), ha senso la domanda: qual’è la vostra scala preferita?
Benchè creino un bell’effetto d’insieme, la stella a 8 punte (fotografata dall’Autore al microscopio) e il tappeto cosmico di galassie fotografate dall’Hubble in cielo, appartengono a scale incompatibili. La stella a 8 punte, che ricorda così tanto l’arma usata dal principe Colwyn (Ken Marshall) in Krull, film dell’83, è un frammento vegetale di pochi micron.
La ricorrenza di forme simili (come i cicloni atmosferici e le galassie spirali) a scale differenti (quindi con proprietà differenti) è comprensibilmente oggetto di riflessioni e motivo di meraviglia.
[Paolo Colona]
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