Lampi gamma più comuni di quanto si possa rilevare
I lampi di raggi gamma (Gamma-ray bursts, GRB) sono tra gli eventi più violenti ed energetici nell’Universo. Anche se si tratta delle esplosioni più luminose dell’Universo, un nuovo studio che ha utilizzato l’osservatorio a raggi X Chandra della NASA, il satellite Swift della NASA e altri telescopi suggerisce che gli scienziati potrebbero mancare la maggioranza di queste potenti detonazioni cosmiche.
Gli astronomi pensano che alcuni GRB siano il prodotto della collisione e fusione tra due stelle di neutroni o tra una stella di neutroni e un buco nero. La nuova ricerca fornisce la prova migliore finora che queste collisioni generano un fascio molto stretto, un getto. Se un getto così stretto non è diretto verso la Terra non verrà rilevato.
Le collisioni tra questi oggetti estremi dovrebbero essere forti sorgenti di onde gravitazionali, possibili da rilevare se il getto è diretto verso la Terra. Pertanto, questo risultato ha importanti implicazioni per il numero di eventi che saranno rilevabili dal Laser Interferometry Gravitational-Wave Observatory (LIGO) e da altri rilevatori di onde gravitazionali.
Il 3 settembre 2014, il satellite Swift della NASA ha individuato un lampo gamma, chiamato GRB 140903A dalla data in cui è stato rilevato. Gli scienziati hanno utilizzato osservazioni ottiche con il Gemini Observatory alle Hawaii per determinare che GRB 140903A era situato in una galassia a circa 3,9 miliardi di anni luce di distanza, relativamente vicina per un GRB.
Il grande pannello nell’illustrazione è un esempio che mostra le conseguenze di una fusione di stella di neutroni, compresa la generazione di GRB. Nel centro si trova un oggetto compatto, un buco nero o una massiccia stella di neutroni, e in rosso è rappresentato un disco di materiale rimasto dalla fusione, contenente materiale in caduta verso l’oggetto compatto. L’energia da questo materiale in caduta provoca il getto gamma mostrato in giallo. In arancione è mostrato un vento di particelle che soffia lontano dal disco e in blu il materiale espulso dall’oggetto compatto che si espande a velocità molto elevate, circa un decimo della velocità della luce.
L’immagine a sinistra dei due pannelli più piccoli mostra una ripresa nell’ottico del Discovery Channel Telescope (DCT), con GRB 140903A al centro del quadrato e un primo piano di un’immagine a raggi X di Chandra sulla destra. La brillante stella nell’immagine ottica non è connessa al GRB.
L’emissione di raggi gamma è durata meno di due secondi e rientra quindi nella categoria dei lampi gamma brevi. Gli astronomi ritengono che provenga da una fusione tra due stelle di neutroni o tra un buco nero e una stella di neutroni, a formare un buco nero o una stella di neutroni con un forte campo magnetico.
Circa tre settimane dopo la scoperta di GRB 140903A, un team di ricercatori guidato da Eleonora Troja dell’University of Maryland ha osservato il lampo gamma ai raggi X tramite Chandra. Le osservazioni di Chandra su come l’emissione diminuisca nel tempo forniscono importanti informazioni sulle proprietà del getto.
In particolare, i ricercatori hanno scoperto che il getto presenta un angolo di soli cinque gradi. Ciò significa che gli astronomi stanno osservando soltanto circa lo 0,4% di questo tipo di GRB, poiché nella maggior parte dei casi il getto non sarà orientato direttamente verso di noi.
Nuovi studi hanno suggerito che questo tipo di fusioni potrebbero essere il luogo di produzione degli elementi più pesanti del ferro, come l’oro. Pertanto, il tasso di questi eventi è importante anche per stimare la quantità totale di elementi pesanti prodotti da queste fusioni e confrontarlo con quanto osservato nella Via Lattea.
Lo studio che descrive questi risultati è stato pubblicato su The Astrophysical Journal.
[ Barbara Bubbi ]
http://www.nasa.gov/mission_pages/chandra/chandra-finds-evidence-for-violent-stellar-merger.html
Credits: Illustration: CXC/M. Weiss; X-ray: NASA/CXC/Univ. of Maryland/E. Troja et al, Optical: Lowell Observatory’s Discovery Channel Telescope/E. Troja et al.
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