Nuova luce sulle prime stelle dell’Universo

The  NASA/ESA Hubble Space Telescope has produced this beautiful image of  the globular cluster Messier 56 (also known as M 56 or NGC 6779), which  is located about 33 000 light years away from the Earth in the  constellation of Lyra (The Lyre). The cluster is composed of a large  number of stars, tightly bound to each other by gravity. However,  this was not known when Charles Messier first observed it in January  1779.  He described Messier 56 as “a nebula without stars”, like most  globular clusters that he discovered — his telescope was not powerful  enough to individually resolve any of the stars visible here, making it  look like a fuzzy ball through his telescope’s eyepiece. We clearly see  from Hubble’s image how the development of technology over the years has  helped our understanding of astronomical objects. Astronomers  typically infer important properties of globular clusters by looking at  the light of their constituent stars. But they have to be very careful  when they observe objects like Messier 56, which is located close to the  Galactic plane. This region is crowded by “field-stars”, in other  words, stars in the Milky Way that happen to lie in the same direction  but do not belong to the cluster. These objects can contaminate the  light, and hence undermine the conclusions reached by astronomers.   A  tool often used by scientists for studying stellar clusters is the  colour-magnitude (or Hertzsprung-Russell) diagram. This chart compares  the brightness and colour of stars – which in turn, tells scientists  what the surface temperature of a star is. By  comparing high quality observations taken with the Hubble Space  Telescope with results from the standard theory of stellar evolution,  astronomers can characterise the properties of a cluster. In the case of  Messier 56, this includes its age, which at 13 billion years is  approximately three times the age of the Sun. Furthermore, they have  also been able to study the chemical

     

Un team di astronomi dell’Università di Notre Dame ha individuato quella che potrebbe essere la seconda generazione di stelle, rivelando nuovi indizi sulla natura dei primi astri nati nell’Universo.

Le stelle massicce di prima generazione, costituite di idrogeno ed elio, hanno prodotto ed espulso gli elementi più pesanti durante il loro ciclo vitale come venti stellari o quando sono esplose come supernove. Quei metalli (in astronomia gli elementi più pesanti dell’elio), hanno inquinato le nubi gassose circostanti, dalle quali in seguito si sono formate nuove stelle. Crescendo l’età dell’Universo cresce anche il contenuto di metalli, grazie alla nucleosintesi stellare e all’arricchimento del mezzo interstellare.

Le stelle CEMP (carbon-enhanced metal-poor stars) sono antiche stelle ricche di carbonio ma povere di metalli, comuni nelle stelle di generazione più tarda. Una sottoclasse di queste stelle viene chiamata CEMP-no.

Jinmi Yoon, Timothy Beers e Vinicius Placco, insieme ai loro collaboratori, hanno dimostrato nel loro studio, pubblicato su Astrophysics Journal, che le stelle a più bassa metallicità, le più primitive, includono una grande frazione di stelle CEMP. In particolare le stelle CEMP-no, ricche di azoto e ossigeno, sarebbero nate da nubi di idrogeno ed elio inquinate dagli elementi prodotti dalle prime stelle che hanno illuminato l’Universo.

“Le stelle CEMP-no che osserviamo oggi, o almeno gran parte di esse, sono nate poco tempo dopo il Big Bang, 13,5 miliardi di anni fa, da materiale quasi completamente non inquinato”, afferma Yoon.

Gli autori dello studio hanno analizzato la composizione chimica di circa 300 stelle nell’alone della Via Lattea. Beers ritiene improbabile che esistano ancora i primi astri nati nell’Universo, ma è possibile apprendere maggiori informazioni sulla loro natura studiando in dettaglio la generazione successiva di stelle, arricchite da elementi prodotti dalle prime “luci” dell’Universo.
[ Barbara Bubbi ]

Nell’immagine l’ammasso globulare Messier 56

http://phys.org/news/2016-12-second-generation-stars-clues-predecessors.html

Credit: NASA & ESA

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