Buchi neri primordiali alimentati da vicine galassie
La comparsa di buchi neri supermassicci agli albori dell’Universo è una questione che ha lasciato perplessi gli astronomi fin dalla loro scoperta oltre un decennio fa. Si ritiene che un buco nero supermassiccio si formi nel corso di miliardi di anni, ma sono stati scoperti più di una ventina di questi mostri cosmici quando l’Universo aveva un’età di appena 800 milioni di anni.
In un nuovo studio pubblicato su Nature Astronomy, un team di ricercatori della Dublin City University, della Columbia University, Georgia Tech, e dell’University of Helsinki, ha proposto una nuova teoria su come possano essersi formati questi antichi buchi neri e avere raggiunto rapidamente una massa di circa un miliardo di masse solari.
Grazie a simulazioni al computer i ricercatori hanno dimostrato che un buco nero può crescere rapidamente al centro della galassia che lo ospita se una galassia nelle vicinanze emette radiazione sufficiente da inibire la capacità della sua vicina di far nascere nuove stelle. Così “invalidata” la galassia ospite cresce finché il buco nero si nutre del gas rimanente e in seguito di polveri, stelle e forse altri buchi neri, fino a che diviene supergigante.
“Il collasso della galassia e la formazione di un buco nero di milioni di masse solari impiega 100.000 anni, un attimo dal punto di vista cosmico”, ha detto il coautore dello studio Zoltan Haiman. “Poche centinaia di milioni di anni dopo si viene a formare un buco nero supermassiccio di un miliardo di masse solari, molto più rapidamente del previsto”.
Nel giovane Universo le stelle e le galassie si sono formate quando l’idrogeno molecolare si è raffreddato, a partire da un plasma primordiale di idrogeno ed elio. Questo ambiente ha inibito la crescita dei buchi neri dal momento che l’idrogeno molecolare ha consentito la nascita di stelle abbastanza lontane dal buco nero da sfuggire alla sua presa gravitazionale. Gli astronomi hanno indagato sui diversi modi in cui questi buchi neri possano avere aggirato questa barriera.
In uno studio del 2008 Haiman ed i suoi colleghi hanno ipotizzato che la radiazione proveniente da una galassia massiccia nelle vicinanze potesse trasformare l’idrogeno molecolare in idrogeno atomico e provocare il collasso del buco nero in formazione piuttosto che la nascita di nuovi ammassi di stelle. Uno studio successivo guidato da Eli Visbal, della Columbia University, aveva calcolato che la galassia vicina dovesse essere almeno 100 milioni di volte più massiccia del Sole per emettere sufficiente radiazione da inibire la formazione stellare.
L’attuale studio, guidato da John Regan, ha modellato questo processo tramite simulazioni al computer e ha dedotto che la galassia nelle vicinanze potrebbe essere stata più piccola e più vicina rispetto a quanto stimato in precedenza.
Sono in corso di analisi altri modelli relativi al modo in cui questi antichi colossi abbiano potuto evolversi, inclusa un’ipotesi che prevede la fusione di milioni di buchi neri più piccoli e stelle. “Comprendere come si siano formati questi buchi neri supermassicci ci permette di saperne di più sull’evoluzione e la formazione delle galassie, inclusa la nostra, e in definitiva sull’Universo in cui viviamo”, conclude Regan.
https://m.phys.org/news/2017-03-nearby-galaxies-fuel-monster-black.html
Credit: John Wise, Georgia Tech
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